Pepi de Boissieu

Pepi de Boissieu

Conoscenza, coscienza e consapevolezza sono tre parti di un unico concetto. La lingua inglese lo riassume perfettamente con il termine “consciousness” e Pepi de Boissieu lo associa continuamente alla sua visione del cibo. Per lei, metà argentina e metà francese, nata a New York e da dieci anni residente a Barcellona, il food è un medium, un mezzo per comunicare e riappropriarsi di quello stato di benessere a cui tutti noi tendiamo in maniera naturale. Secondo Pepi, il cibo nutre il corpo, ma serve anche scopi più alti, alimentando lo spirito e connettendoci con le nostre dimensioni più intime.

Come hai iniziato a lavorare con il cibo?

Dopo gli studi in art direction e scenografia, mi sono trasferita a Barcellona, dove ho conosciuto Antoni Miralda, uno dei pionieri del food design che dagli anni ’60 crea sculture con il cibo, organizza eventi e disegna rituali dedicati alla consumazione e alla conoscenza più profonda di questa materia. Grazie alla sua amicizia, ho capito la potenza comunicativa del cibo e, gestendo una Food & Art Gallery insieme a lui, ho compreso appieno i suoi stretti legami con la cultura e l’arte.

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Courtesy/Cecilia Betz

L’insegnamento più grande per cui sei grata ad Antoni Miralda?

Mi ha fatto capire quanto sia immenso il potere “politico” del cibo nel sistema in cui viviamo. Le decisioni più importanti le prendiamo a tavola, seguendo processi di cui spesso neanche ci accorgiamo. Questo perché il cibo è un contenitore: di storie (e della storia in senso più ampio), di geografie e di politiche. Con questa consapevolezza è possibile vederlo con un occhio diverso e comprendere quanto le decisioni che gli girano intorno abbiamo impatti fortissimi sull’ambiente e sulla società.

Una volta acquisite queste conoscenze, quali sono stati i passi successivi?

Da vedere il food solo come un medium espressivo, ho preso coscienza di ciò che promuovo, compro e di cui mi nutro. Oggi, per me, il cibo non è uno strumento meramente estetico. Sia chiaro, la bellezza è importante nel mio lavoro, ma non deve superare il messaggio intrinseco che un alimento porta con sé. Ciò che metto in tavola deve avere uno scopo, accendere le coscienze e stimolare delle reazioni negli altri. Entrando nei meccanismi della food industry e comprendendo in modo profondo le logiche che la regolano, capita di imbattersi in cose terrificanti. Ecco perché con i miei progetti e nella vita di tutti i giorni, presto attenzione alle materie prime che utilizzo. Mi informo sulla filiera, su come sono coltivate, se hanno viaggiato e per quanti chilometri, se sto aiutando piccoli produttori. Questo è ciò che intendo quando parlo di conscious food: un modo consapevole di nutrirsi e di nutrire la propria coscienza.

Le decisioni più importanti le prendiamo a tavola, seguendo processi di cui spesso neanche ci accorgiamo. (Pepi De Boissieu)
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Courtesy/Coke Baltrina

Hai parlato del fattore estetico del cibo. Si tratta di una componente essenziale del tuo lavoro o può essere tralasciata quando ci sono altri valori da sottolineare?

La bellezza è essenziale in ogni aspetto della mia vita, ma non parlo del senso frivolo del termine. Prendi un’anguria, ha un design perfetto. La natura l’ha progettata per essere bella e a noi basta osservarla per comprenderlo. Ogni giorno alleno i miei occhi per trovare la bellezza nella semplicità e prendo ispirazione dal mondo naturale, che racchiude un canone estetico che riconosco, apprezzo e cerco di valorizzare attraverso i miei progetti. D’altronde, se nutri il tuo corpo in modo consapevole, scegliendo la bellezza dei prodotti stagionali, ricchi di nutrienti poiché sani, sarà anche il tuo spirito a giovare di un rinnovato benessere e di energia positiva.

A proposito di energia e cibo, ci racconti di Altarcito?

È un progetto che ho realizzato insieme a Lucía Vergara, focalizzato sulla consapevolezza che ogni essere vivente emette delle frequenze energetiche misurabili in Hertz. Quando risultano troppo basse a causa di tristezza, stanchezza o stress, il sistema immunitario si indebolisce ed è necessario riportarle al loro livello naturale. La polvere di ficocianina, presente nell’alga spirulina e nella klamath, può rialzare queste frequenze, agendo come un naturale booster energetico. Nell’installazione Altarcito, abbiamo invitato le persone a dare nuovo impulso alle proprie frequenze energetiche sbucciando dei longan (frutti simili al litchi), intingendoli nella polvere di alga e degustandoli. Un atto semplice, da consumare di fronte a un altare e che, in soli venti minuti, ha creato un mood super positivo, portando un naturale senso di gioia e convivialità in tutti coloro che hanno preso parte al rituale.

La bellezza è essenziale in ogni aspetto della mia vita [...] Ogni giorno alleno i miei occhi per trovare la bellezza nella semplicità. (Pepi De Boissieu)
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Courtesy/Mar Ordonez

Come vedi il futuro del cibo e l’evoluzione del rapporto che le persone hanno con questa materia a casa, ogni giorno?

Con Dora Daar, una community che crea oggetti per nutrire l’anima, fondata insieme a Nat Sly, stiamo sviluppando due oggetti dedicati al recupero del ruolo centrale della cucina, in passato fulcro dell’ambiente domestico. Questo perché abbiamo notato due atteggiamenti divergenti che plasmeranno il rapporto futuro con il cibo. Sempre meno persone si dedicano all’atto di cucinare, poiché ogni ricetta è sempre accessibile grazie alle dark kitchen e al delivery, mentre l’informazione cibo-centrica di tv e magazine rende questo atto quasi “indigesto”. Dall’altra parte c’è un movimento di cultori del cibo che si riuniscono e cucinano insieme, coltivano i propri prodotti in orti urbani condivisi e hanno un approccio consapevole verso la materia. Credo che questi saranno i due atteggiamenti opposti nel prossimo futuro: alcuni non avranno mai visto dal vivo un rabarbaro, altri consumeranno e promuoveranno il conscious food.

Dove si può andare oggi a Barcellona per vivere un’esperienza di consumo consapevole?

C’è un posto nuovo che amo molto, si chiama Restaurante Savia. Lo ha fondato Laura Veraguas, un’amica e una bravissima chef. Il menu non è vegetariano o vegano, anche se il 70% delle portate sono plant-based, mentre tutto è pensato e progettato nel minimo dettaglio. Gli scarti vengono riciclati, con i residui del caffè fanno crescere dei funghi e tutta la catena alimentare del ristorante gode di molteplici vite. È bellissimo quello che fanno da Savia e mi piace molto frequentarlo perché il cibo è paradisiaco. È il locale più sostenibile e consapevole che io abbia mai visto.

Foto di apertura Courtesy/Iris Humm

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