Magari è un feticcio dei marchigiani ma nel dubbio rispettiamo questa faccenda ed evitiamo il paragone. Chiarito ciò, i vincisgrassi sono il primo piatto per antonomasia quando ci si lascia alle spalle la provincia di Ancona e si entra nel maceratese, tra le sue morbide colline e i colori stabiliti dalla mezzadria che regalano un panorama unico e inconfondibile. Addio a cappelletti e passatelli e benvenuta opulenza, strato dopo strato, di pasta, frattaglie e animali da cortile. Besciamella dipende, tendenzialmente no, poi uno fa come vuole.
Il paese di Carassai nelle Marche
Facendo un passo indietro e tornando alla ricetta codificata, si risale a Antonio Nebbia e a “Il cuoco maceratese”. Era il 1779 e Nebbia, ancor prima di nomi come Savarin, Artusi, Escoffier, decise di mettere nero su bianco una tradizione orale, ma estremamente precisa, che era la gastronomia marchigiana.
L’obiettivo era uno: codificare i gesti e porre le basi dell’economia domestica fatta di risparmio e pulizia:
“Non ti faccia maraviglia alcuna, o lettore, se mi sono innoltrato a comporre questo mio libro di cucina, mentre altra mira, ed altro fine non ho avuto, che di giovare a tanti servitori, e serve, che pretendono, od almen credono di cucinare bene ai loro padroni, e trovansi quasi digiuni in tal mestiere. Mi sono però preso l’arbitrio d’istruirli con una facilità assai grande e con somma chiarezza, e spero, che se avranno la sofferenza di leggere questo mio libro, giugneranno a fare tutte sorte di vivande secondo il nuovo gusto, e con economia di ogni sorte di commestibili, conforme nei respettivi capitoli si troverà descritto. Il che certamente sarà ai padroni di risparmio non solo, ma di gran soddifazione a motivo della pulizia, che non lascio, ne lascierò mai di raccomandare, giacchè la medesima nelle cucine è una delle cose più importanti, e la quale se manca, può senza dubbio oltre il fastidio e nausea, che cagiona, precipitare eziandio la salute degli uomini”.
Dopo zuppe, minestre, allessi e salse d’ogni sorta arriva la ricetta della salsa dei princisgras dove si trovano tra gli ingredienti tartufi, prosciutto, panna fresca, parmigiano. Non un piatto della tradizione contadina, come è oggi, bensì un piatto ricco e nobile:
“Prendete una mezza libra de persciutto, facetelo a dadi piccoli, con quattr'once di tartufari fettati fini; da poi prendete una foglietta e mezza di latte, stemperatelo in una cazzarola con tre once di farina, mettelo in un fornello mettendoci del persciutto, e tartufari, maneggiando sempre fino a tanto che comincia a bollire, e deve bollire per mezz'ora; da poi vi metterete mezza libra di pana fresca, mescolando ogni cosa per farla unire insieme; da poi fate una perla di tagliolini con dentro due ovi e quattro rossi; stendetela non tanto fina e tagliatela ad uso di mostaccioli di Napoli, non tanto larghi; cuoceteli con la metà di brodo e la metà di acqua, aggiustati con sale; prendete il piatto che dovete mandare in tavola: potete fare intorno al detto piatto un bordo di pasta a frigè per ritenere in esso piatto la salsa, acciocché non dia fuori quando lo metterete nel forno, mentre gli va fatto prendere un poco di brulì; cotte che avrete le lasagne, cavatele ed incasciatele con formaggio parmiggiano e le andrete aggiustando nel piatto sopraddetto, con un solaro de salsa, butirro e formaggio e l'altro de lasagne slargate, e messe in piano, e così andrete facendo per fino che avrete terminato di empire detto piatto; bisogna avvertire che al di sopra deve terminare la salsa con butirro e formaggio parmiggiano e terminato, mettetelo in forno per fargli fare il suo brulì..”
Il forno a legna della zia dell'autrice, a Magliano di Tenna (Fermo)
Passaggio dopo passaggio, modifica dopo modifica, diventati il piatto della domenica non si riesce, oggi, a trovare una ricetta che sia uguale all’altra: i vincisgrassi sono una preparazione che prevede tempo e dedizione e ogni famiglia ha la sua versione. Il resto non conta.
In giro per il maceratese sarà facile trovare sapori differenti, quella di Nebbia ai due Cigni di Montecosaro, o quella alla Maceratese all’Osteria dei Fiori di Macerata. Poco importa dove sceglierete di andare, uno scacco di vincisgrassi in carta la domenica si troverà sempre.
Ma cosa c’è insomma, dentro ‘sti vincisgrassi per non poterli chiamare lasagne?
Intanto sette strati di pasta farciti da un ragù in cui i tartufi sono stati sostituiti da frattaglie e carne di animali da cortile; è diventato un piatto popolare e si fa con quello che c’è a disposizione. Alcune versioni prevedono oca, gallina, vitello, carne di maiale, altre interiora, cuore e fegato, alcune più attuali manzo e carne talmente morbida da disfarsi al morso. Ogni boccone sarà ricco di sapore, al di là di quale sia poi il suo interno: gli strati di pasta renderanno il morso più leggero, il condimento sarà un accompagnamento discreto che, se abbinato o meno alla besciamella, renderà egregiamente il concetto di “sapore di casa” per un marchigiano. E capirete perché non si possono chiamare lasagne.
Gli zii dell'autrice, cultori e custodi dei vincisgrassi al forno a legna
La mia memoria va alla ricetta dei miei zii a Magliano di Tenna, in provincia di Fermo, a quella frase che anche oggi è il più bel suono del mondo: “quando arrivi scaldo i vincisgrassi”, a quando da bambina mi rifiutavo di mangiare le lasagne a Pavia ma i vincisgrassi nelle Marche scomparivano nel tempo di un sospiro. In età adulta sono diventati anche il mio piatto delle feste, quello semplificato e reso moderno nella preparazione con la speranza che il sapore antico rimanga il più possibile sincero (zia ha detto di sì), quel piatto che prepari poi non ci pensi più e puoi portare in tavola ad ogni occasione, perché si prepara prima e in più si scalda da solo.
Gli ingredienti, i miei, prevedono un ragù fatto con soffritto e lardo, poi macinata mista di manzo e maiale, cuori e fegato di coniglio tritati finemente così si sentono ma non si vedono, qualche pezzo di prosciutto. Il tutto a cuocere nella polpa di pomodoro allungata con brodo robusto in una cottura lenta ma senza restringersi troppo. La besciamella la metto tra uno strato e l’altro, senza esagerare per accompagnare il sugo e il parmigiano grattugiato, nella farcitura dei sette strati di pasta (cercate una sfoglia di buona qualità, non serve sempre impazzire in cucina). Poi inforno, purtroppo non nel forno a legna come fa zia, per una mezz’oretta (venti minuti con alluminio e dieci minuti a bruciacchiarsi in superficie).
Non è giusta, non è sbagliata. È la mia, quella che porto in tavola ogni Natale. E ogni Natale, non avanza mai.
(Tutte le foto/Dorina Palombi)