La sfogliatella di Lama dei Peligni, dolce di Natale nato per caso in Abruzzo

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In Abruzzo, i dolci di Natale contemplano un caso unico della pasticceria italiana: la sfogliatella di Lama dei Peligni, paese in provincia di Chieti nel cuore del Parco Nazionale della Maiella, strategicamente a mezzo tempo tra la costa adriatica e la capitale, vicino al polo della pasta di Fara San Martino e alle piste da sci di Pescocostanzo e Roccaraso. La sfogliatella abruzzese appartiene esclusivamente a Lama dei Peligni e alle sue famiglie – guai a dire il contrario –, tanto legate alla tradizione da aver deciso di celebrarla ogni anno con una festa a fine aprile. Una consuetudine rimasta pressoché intatta, ancora eseguita manualmente, nonostante la modernizzazione delle tecniche in cucina e l’apertura in paese di due piccoli laboratori artigianali, che hanno contribuito a far conoscere il dolce tipico natalizio fuori dai confini abruzzesi.

La storia delle sfogliatelle abruzzesi inizia in realtà fuori regione. La sfogliatella napoletana, con cui quella lamese condivide le origini, arriva in paese nel 1902, quando Donna Annina Di Guglielmo, con il marito barone Giovanni Tabassi, si trasferisce nel palazzo di famiglia di lui, portando con sé anche la ricetta di quel piccolo scrigno sfogliato che sua suocera, Donna Francesca, le aveva donato durante un soggiorno a Napoli. La montagna è tanto bella quanto ostica, soprattutto se i servizi di spedizione veloce non esistono e le materie prime disponibili sono quelle che sono, di stagione o di conserva: a Lama dei Peligni, in inverno, la ricotta non è proprio delle migliori, conviene utilizzare quel che c’è in dispensa. È qui che la tradizione si fa adattamento, trasformazione, innovazione. Donna Annina prova a sostituire il formaggio fresco delle sfogliatelle napoletane con la scrucchiata abruzzese, la tipica marmellata di uva Montepulciano, e unge la sfoglia tirata a mano con dello strutto fuso, che impreziosisce l’impasto rendendolo morbido e profumato. In quel momento nasce un dolce diverso, dal ripieno gustoso, intenso e ricco, un unicum che ha impiegato quasi mezzo secolo per sganciarsi dall’esclusività di casa Tabassi e diventare democratico, popolare, di tutto il paese.

Per chi come me ha vissuto l'infanzia a Lama dei Peligni coi nonni, le sfogliatelle abruzzesi sono un esercizio di memoria. Una madeleine da rubare e chiudere con quel fare lesto di bambina in un fazzolettino ricamato, per poi mangiarla, in silenzio, lontano da tutti. È il ricordo di un profumo inconfondibile che vuol dire casa, Natale in famiglia e gara a chi ne mangia di più.

È un dolce che scandisce il passare del tempo, perché con l’inizio dei preparativi prende il via anche il conto alla rovescia per il saluto al nuovo anno; una ciclicità che si ripete come un gesto catartico, di buon augurio, di apertura a quello che sta arrivando e a tutte le sue novità.

Lo strano fermento che si vive in paese prima delle feste è testimonianza dell’impegno delle donne che, giocando d’anticipo, si ritrovano in gruppetti davanti al banco dell’alimentari di quartiere. Domandano strutto, uova, tanta farina, noci, cacao e tutto il necessario per mettersi all’opera. Questo è quello che tradizione vuole, tutto deve essere fatto per tempo e senza fretta, ogni cosa deve trovare la sua dimensione e il suo spazio nel tempo. Per la preparazione della farcitura delle sfogliatelle lamesi ogni famiglia ha la sua ricetta: non ne esiste una canonica, l’unico ingrediente fisso è la scrucchiata di uva a cui a piacere si aggiungono marmellata di amarene selvatiche, mosto cotto, noci, biscotti secchi, cacao, cioccolato, caffè e cannella. Il goloso intruglio, lasciato cuocere per ore nei capienti pentoloni, sprigiona un profumo così intenso da restare in sospensione per giorni, con le sue note dolci che virano al caffè prima di passare alla cannella. Una pozione magica che si accompagna perfettamente anche con del semplice pane biscottato, a colazione.

Il motivo per cui la sfogliatella di Lama si prepara in inverno, soprattutto nel periodo natalizio, è da manuale di furbizia culinaria: l’impasto fatto di farina, tuorli, acqua, strutto e sale deve riposare in un luogo freddo per solidificare. Oggi le cose sono più semplici per via del frigo, ma fino a qualche anno fa le massaie ricorrevano a particolari tricks andati persi, come l’utilizzo a mo’ di ghiacciaia della stanza di casa più fredda perché esposta a nord. L’impasto, ben solido, è steso a mano in sfoglie molto sottili, quasi trasparenti, che devono essere poi sovrapposte l’una sull’altra nel numero di 5 o 6, alternate a strati di strutto sciolto che viene poi arrotolato su sé stesso e fatto raffreddare nuovamente.

È in questo momento che la sfogliatella inizia a prendere forma, con il taglio verticale dei rotoli di sfoglia in dischi di circa un centimetro, stesi velocemente, riempiti con la farcia fredda e chiusi come una conchiglia dai bordi ben sigillati. Dopo quasi un giorno di lavorazione, l’ultimo passaggio fondamentale è la cottura: il forno deve essere alla sua massima temperatura quando si inseriscono le sfogliatelle, adagiate su vecchie teglie di ferro nere e deformi, testimoni dei tanti natali passati in casa ad aspettare e sfornare. Da questo momento, il verdetto è l'ultima attesa: se tutto è andato come doveva andare, la sfoglia inizierà ad aprirsi timidamente, rilasciando lo strutto sfrigolante sulle teglie incandescenti. Un passaggio delicato che in casa, a partire dai più piccoli, si scruta in religioso silenzio, increduli e sbalorditi davanti al vetro del forno per festeggiare la buona riuscita. Il consiglio è di mangiarle tiepide o fredde, in modo che la sfoglia abbia il tempo di riassorbire un po’ del grasso perso in cottura, arricchite da un sottile strato di zucchero a velo. Un fine pasto perfetto, una merenda che ha l’odore delle mani delle nonne e delle madri, un momento particolare da godersi morso dopo morso. Fuori dalla corsa dal tempo.

(Foto di apertura Courtesy/Le sfogliatelle di Donna Anna)

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