Federico Graziani è un personaggio unico nel mondo del vino. Ravennate d’origine, la sua è un vita dedicata al vino. Miglior sommelier d’Italia, a soli 23 anni, autore di grandi testi enogastronomici, con la pubblicazione dei libri “Grandi vini di piccole cantine” e “Vini d’autore”, poi manager nell’area commerciale per una delle più affermate realtà vinicole italiane, ovvero Feudi di San Gregorio. Qui, in esclusiva per Tuorlo, ci racconta in prima persona l’ultima sua grande avventura, cioè quella di produttore di vino con la cantina che porta il suo nome. Per questa impresa ha scelto una terra unica, la Sicilia, e per l’esattezza l’Etna, un luogo misterioso e speciale, un’ecosistema unico al mondo caratterizzato da una variabilità climatica straordinaria e da un paesaggio ricco di contrasti e di vita.
E’ proprio vivendo in simbiosi con il vulcano e adattandosi alla forza e all’imprevedibilità dei suoi elementi che qui, da oltre 2000 anni, si coltiva la vite in piccoli fazzoletti di terra strappati alla montagna, in una zona difficile, impervia e selvaggia. Un lavoro lento e antico, fatto a mano con fatica, passione e rispetto.
La collaborazione con Salvo Foti gli ha insegnato il vero significato della parola ‘etica’ nel mondo del vino.
I vini di Federico Graziani parlano la lingua di questa terra e ne incarnano lo spirito. Un puro assaggio di autenticità. Una precisa scelta di Graziani vuole una vendemmia relativamente precoce, tra fine settembre e inizio ottobre, nella dichiarata ricerca di un vino imperniato sull’acidità, ispirandosi ai grandi vini del Nord Europa.
Ho sempre pensato che per fare un grande vino bianco bisognasse andare a Nord, dove il sole scalda qualche ora al giorno, gli inverni sono rigidi, le notti lunghe e la terra antica.
Ho camminato queste vigne dalla Mosella alla Loira atlantica, per cercare di carpire i segreti di Riesling, Pinot, Chenin e Gewurztraminer. Passo dopo passo, incontrando persone che hanno succo d’uva fermentato nelle vene e da generazioni convivono con questo clima difficile.
Mi è venuto naturale pensare, dopo aver stappato e assaggiato tante e tante bottiglie, che la terra migliore sia quella, al limite climatico della coltivazione della vite, che più a Nord non si può.
Poi, invece, mi sono trovato lì, nell’isola Trinacria dove la luce è diversa, più forte, più viva; dove il sole resta alto d’estate e sembra non voler tramontare mai e dove il mare incontra il vento e si infrangono entrambi nella giovane montagna. Giovane sì, perché l’Etna è uno dei monti più recenti del nostro paese, formatosi appena 500mila anni fa, un nulla a confronto delle Alpi e degli Appennini.
Forse per esuberanza di gioventù, “a Muntagna”, conserva un’energia sempre presente e avvertibile, che si mostra con un’eruzione, un brontolio rumoroso o semplicemente con un pennacchio di fumo a disegnare il cielo. Il profumo di questa terra è magico e torna alla mente la leggenda di Diego Planeta che prima di piantare vigneti sul vulcano si sarebbe chinato per assaggiare la terra.
Sapevo bene che per trovare finezza in quella montagna sarei dovuto salire e tanto.
Con la forza di questa luce e l’energia originata dal connubio tra cenere, sabbia e pietra lavica, il Nord va raggiunto verso l’alto, in quota e non per latitudine.
Si oltrepassano quindi gli 800 metri sul livello del mare, che determinano il confine altimetrico della DOC Etna in questo versante; si supera anche quella pittoresca strada chiamata “Quota Mille” che abbraccia il vulcano alla soglia dei mille metri per congiungersi a Linguaglossa con la strada Mareneve, che collega il versante Est, quello che guarda il mare, con il versante settentrionale, passando per il celebre rifugio sciistico di Piano Provenzana.
Man mano che si sale, cambia la vegetazione e ci si ritrova circondati da ginestre e valeriana rossa che ravvivano l’apparente monotonia di una terra nera come il basalto.
Raggiungiamo quasi i 1200 metri, in contrada Nave, celebre per i bianchi della montagna da cui prendono il nome di montagnini.
Salvo Foti, fedele custode della conoscenza etnea, ha piantato le (rare) varietà capaci di sopportare un clima così estremo e quindi ritroviamo le uve di Mosella, Alsazia e Loira: Riesling Renano, Gewurztraminer e Chenin Blanc e qualche pianta di Carricante e Grecanico che sfidano il gelo.
Le prime annate prodotte da questo vigneto parlano di fiori e sale, freschezza ed eleganza e di un inverno freddo che pervade e caratterizza ogni calice. È possibile che tra 20 anni, con più esperienza e conoscenza del vigneto, qui possa nascere un grande vino.
L'immagine di copertina - ph.Stefano Caffarri